“BILANCIO PARTECIPATIVO” TRA IGNAVIA, ESAUTORAZIONE DEI MUNICIPI, DEMAGOGIA E DISCREZIONALITA’

Il “Bilancio partecipativo” per il decoro urbano è un’iniziativa del Comune di Roma che sembra studiata per scavalcare i Municipi (contro l’ordinamento amministrativo e nella logica perversa e demagogica della “disintermediazione”); per ottenere idee gratis (senza indire concorsi o bandi – e senza nemmeno specificare la documentazione da presentare a corredo della proposta); per aumentare la discrezionalità del Comune nella scelta dei progetti da realizzare e a chi affidarli (“Tavolo tecnico”); per dare ai cittadini l’illusione di “partecipare” a fronte di pochi soldi (20 milioni di euro da distribuire tra tutti i municipi sono briciole, con cui si può fare poco o nulla, tanto più con il principio del “finanziamento a pioggia”), di tempi inadeguati alla formulazione di proposte strutturate (meno di un mese), di discrezionalità del Comune nella scelta finale.

Il “Bilancio partecipativo” è accompagnato da uno scarno Vademecum redatto dal Comune, in cui viene precisato che “le proposte devono rappresentare un’idea organica e innovativa di riqualificazione urbana attraverso una serie coordinata di azioni che riguardino più ambiti (verde, arredi urbani, illuminazione, accessibilità, mobilità alternativa…)” e che “i progetti non devono prevedere soltanto singoli interventi di riparazione e/o manutenzione di arredo urbano, ma devono consistere in un insieme di interventi integrati volti al miglioramento dell’area nel suo complesso prevedendo elementi innovativi per favorire una migliore fruizione dello spazio pubblico e favorendo attività sociali, culturali, accessibilità, sicurezza…” 

Ciò che viene richiesto, dunque, non è una semplice proposta, ma un’idea strutturata, un vero e proprio progetto (gratis), per il quale, però, non viene specificata né la forma in cui deve essere presentato, né la documentazione necessaria. Le proposte, dunque, saranno non solo eterogenee, ma anche presentate in modo necessariamente disomogeneo e non comparabile; talché non è chiaro in base a quali criteri i cittadini le voteranno, né tanto meno come il “Tavolo tecnico” potrà valutarne la “fattibilità tecnico-economica” (se non in modo discrezionale…). Il Vademecum, dunque, è un documento insufficiente ed inadeguato sia rispetto a quanto viene richiesto, sia rispetto a chi vorrà votare o -peggio ancora- dovrà valutare le proposte, sia -infine- rispetto alle “ambizioni” (velleità?) del Comune.

Il tutto ha il sapore dell’ignavia, della demagogia, dell’improvvisazione, dell’esautorazione dei Municipi, della discrezionalità ed opacità nella selezione e nell’affidamento dei progetti.

Se proprio il Comune non era in grado di decidere come spendere 20 milioni (inconsapevolezza?), le strade appropriate sarebbero state due: consultazione dei soli Municipi (o proposte raccolte, coordinate e gestite esclusivamente dai Municipi, sulla base di un bando o, almeno, di un documento preliminare); oppure concorsi di progettazione, sul modello rutelliano di “Centopiazze”.

Abbiamo bisogno di una politica -e di un’amministrazione- consapevole, responsabile, competente, coraggiosa e lungimirante.



Categorie:Architettura e Urbanistica

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