L’AMPLIAMENTO È UN ERRORE
L’ampliamento del Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio è inutile e miope: è la soluzione sbagliata (ampliamento) di un problema concreto (esigenza di spazi per il Tribunale Penale), piccolo e parziale rispetto al contesto ed alle potenzialità. Il problema dei Tribunali di Roma (e non del solo piazzale Clodio) è l’occasione per ripensare la città, per dare un senso alle cose, con una visione di ampio respiro, culturale, sociale, politico ed economico.
LA NOSTRA PROPOSTA ED IL FERMENTO CIVICO: LA DISCUSSIONE È APERTA
Abbiamo già lanciato la sfida (vedi l’articolo del 26/05/2019: “Il Palazzo di Giustizia di Roma: ampliare un guazzabuglio? No, grazie: abbiamo bisogno di una nuova cultura urbana ed umana”). Una proposta di ampio respiro che riunisce il “Quartiere della Giustizia”, il “Quartiere dello Sport e della Cultura”, la “Città da immaginare”, collegandoli con nuove tramvie (da Casaletto al Parco della Musica) e metropolitane (Metro C, da Ottaviano a Grottarossa).
Sul tema c’è un grande fermento civico: idee e posizioni, anche diverse tra loro, espresse pubblicamente da associazioni di cittadini (Trionfalmente 17) e da politici (vedi interrogazione parlamentare della Senatrice Loredana de Petris) segno di un’attenzione, di una vitalità e di una ferma volontà di partecipare al dibattito pubblico, che i sottoscrittori del Protocollo d’Intesa (Comune di Roma, Ministero della Giustizia, Regione Lazio) non possono ignorare.
Lo Schema di Protocollo d’intesa è stato approvato dal Comune di Roma con Delibera della Giunta Comunale (DGC) n.87 del 10 maggio 2019. Il Protocollo d’intesa è stato poi sottoscritto il 16/05/2019 e pubblicato sul sito del Ministero della Giustizia solo il 31/05/2019. La lettura del Protocollo conferma tutte le perplessità già espresse circa il merito ed il metodo dell’iniziativa.
CHE COSA DICE IL PROTOCOLLO D’INTESA
Nel Protocollo si afferma che gli edifici del Tribunale esistenti “risalgono ormai ad alcuni decenni orsono [1958-1969 – NdR]” e necessitano di “interventi volti al loro rinnovamento e/o completa ristrutturazione”; che essi “non risultano più adeguati allo svolgimento delle funzioni della città giudiziaria” (il Ministro Bonafede, tra l’altro, ha candidamente dichiarato che essa non è a norma…); e che il complesso è annoverato, nella “Carta della Qualità del PRG, tra gli “Edifici e complessi edilizi moderno: opere di rilevante interesse architettonico o urbano” (ancorché non sia chiaro quali siano i meriti di un’opera tanto respingente). Da queste premesse, il Comune ed il Ministero hanno deciso che è necessario “ampliare la consistenza edilizia della città giudiziaria” attraverso la costruzione di un nuovo edificio il quale “deve essere situato nell’area del Parco di Monte Mario”.
L’ampliamento dovrebbe essere realizzato previo “concorso di progettazione” attuato “ai sensi degli artt.23 e 152 del DLgs 50/2016” (Codice dei Contratti Pubblici, così come modificato e integrato con D.L. 18 aprile 2019 n.32 e con Legge 3 maggio 2019, n.37 – NdR). Il concorso di progettazione, però, è disciplinato dall”Art.154: non è dunque chiaro perché tale articolo di legge non sia richiamato esplicitamente nel Protocollo, che invece fa riferimento a due articoli generali (il 23 ed il 152), che riguardano tutte le tipologie di concorso (idee e progettazione), tutti i livelli di progettazione (fattibilità, preliminare, definitivo) e tutte le articolazioni (fase unica e due fasi).
Al fine dell’attuazione del Protocollo, viene istituito un “Tavolo tecnico” che, data l’esiguità dei partecipanti (solo tre: un rappresentante per ognuno dei soggetti sottoscrittori del Protocollo), sarebbe più appropriato chiamare “tavolino tecnico”…
I tre rappresentanti dovrebbero essere nominati entro 15 giorni dalla sottoscrizione del Protocollo; poiché la firma del Protocollo risale al 16 maggio 2019, essi dovrebbero essere già stati nominati. Si attende che ne siano pubblicati i nomi e le competenze.
Il compito più importante del “Tavolo tecnico” è la redazione del Documento preliminare alla Progettazione (DPP). Tale documento è esso stesso un atto progettuale di fondamentale importanza, in quanto fissa in modo definitivo i capisaldi urbanistici, architettonici e funzionali dell’intervento; il DPP sarà parte integrante del Concorso di Progettazione che si intende bandire, rispetto al quale rappresenta le inderogabili linee-guida. Per tale compito -sempre secondo il Protocollo d’intesa- “si rende necessario redigere, anche con adeguato supporto professionale esterno, un documento preliminare alla progettazione che, tra l’altro, ne detti le invarianti fondamentali e le linee di indirizzo, da porre a base di un successivo concorso di progettazione”. Orbene, qualora il Comune veramente intendesse perseverare nell’attuazione a questo Protocollo (nonostante la fragilità dei presupposti e la miopia della soluzione individuata), facendo ricorso a “supporto professionale esterno” dovrà farlo all’insegna della discontinuità politica, amministrativa e culturale: e più precisamente, questo “supporto professionale esterno” dovrà necessariamente essere un gruppo interdisciplinare coordinato, da selezionare attraverso una procedura comparativa di evidenza pubblica (per essere più chiari: non attraverso l’odiosa prassi -quand’anche fosse prevista dalla legge- dell’affidamento d’incarico diretto).
In sintesi, il contenuto del Protocollo d’intesa conferma quanto già evidenziato nel nostro articolo del 26 maggio 2019, ovvero: tutte le decisioni fondamentali sono state già prese (senza discussione) e, per di più, sono sbagliate:
1) L’edificio esistente sarà conservato, rinnovato e ristrutturato;
2) L’ampliamento sarà un nuovo edificio (o complesso di edifici) che si aggiunge agli altri esistenti e sarà realizzato all’interno di un Parco naturale vincolato;
3) Il Comune ha già scelto l’area in cui sarà ubicato il nuovo edificio; ciononostante, l’ubicazione di tale area non è stata ancora resa pubblica. Non è nemmeno nota la dimensione dell’intervento; ma poiché il Comune e Ministero della Giustizia, nella fase di ristrutturazione degli edifici esistenti, intendono travasare nel nuovo edificio il personale in essi dislocato, tutto fa pensare ad un raddoppio del complesso attuale.
4) Al Tavolo tecnico parteciperanno solo tre rappresentanti (!!!), uno solo per ognuno dei tre enti che hanno sottoscritto il Protocollo d’intesa (Comune, Ministero della Giustizia, Regione): tutti gli altri (associazioni, comitati di quartiere, urbanisti e architetti, cittadini; ma anche Roma Natura, il Ministero dei Beni Culturali, il Ministero dell’Ambiente etc.) ne sono esclusi;
5) I tre rappresentanti dovrebbero essere già stati nominati (31 maggio 2019), ma non sono ancora stati resi pubblici né i nomi, né le competenze: persiste un problema di trasparenza;
6) L’intervento sarà oggetto di un concorso (forse) di progettazione (i rimandi alla normativa presenti nella DGC 87/2019 non consentono una individuazione univoca ed inequivocabile del tipo di concorso, né tanto meno del livello di approfondimento, né dell’articolazione); tale concorso sarà istruito dal Tavolo tecnico. Intanto possiamo anticiparvi che, ricadendo l’intervento in area vincolata, si renderà necessaria di una Variante urbanistica; pertanto, ai sensi dei commi 5-bis e 5 dell’art.23 del Dlgs 50/2016 s.m.i., il concorso dovrà avere come oggetto il progetto di fattibilità tecnico-economica.
Al di là dell’errore concettuale e politico dell’ampliamento, è comunque impossibile realizzare un intervento di tale rilevanza -e per di più in un contesto così complesso- in assenza di un progetto generale per l’intera zona urbana (“Masterplan”). L’elaborazione del Masterplan deve necessariamente precedere eventuali concorsi di progettazione ed essere essa stessa posta a concorso.
7) Per la redazione del Documento preliminare alla Progettazione (DPP), fondamentale per la qualità e l’esito finale dell’opera, il Comune farà ricorso a “supporto professionale esterno”, di cui non vengono specificate né le competenze, né le procedure di selezione (che, come detto, non potranno che essere di evidenza pubblica). Inoltre, data la rilevanza del DPP, è impensabile che esso sia redatto senza una discussione pubblica dei contenuti e degli indirizzi, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati (istituzionali e non istituzionali).
IL PROTOCOLLO D’INTESA È VALIDO?
Ma torniamo al motivo da cui nasce il Protocollo d’Intesa: esso nasce dall’esigenza del Ministero della Giustizia di maggiori spazi rispetto a quelli oggi disponibili (esigenza rispetto alla quale l’ampliamento è solo una delle opzioni possibili, non una necessità ineluttabile).
Ebbene, non è noto il modo in cui questa esigenza è stata formalizzata dal Ministero al Comune e alla Regione. Né la Delibera del Comune di Roma, né il Protocollo d’Intesa riportano gli estremi di atti o documenti trasmessi dal Ministero della Giustizia per rappresentare tale esigenza e per, contestualmente, richiedere l’ampliamento del complesso esistente. Talché ci si interroga se tale lacuna possa incidere sulla validità e sulla legittimità tanto della DGC 87/2019, che del Protocollo d’Intesa. Così come è formulato nella DGC, il Protocollo d’intesa appare privo del suo presupposto fondamentale (l’atto con cui il Ministero della Giustizia ha richiesto l’ampliamento).
CONCLUSIONI
Concludiamo confermando l’opposizione all’ampliamento (una somma di parti non fa un’architettura o un brano urbano: genera mostri) e rilanciando una visione organica e lungimirante della città: il “Quartiere della Giustizia” può e deve essere la scintilla per un rinnovamento culturale, sociale, politico ed economico di lungo periodo.
Valerio Preci – valerio.preci@quarkdesign.it
Categorie:Architettura e Urbanistica
Grazie per questo articolo, che praticamente è il quadro indiscutibile della situazione. La cementificazione dell’area di Via Teulada sarà solo l’inizio di una serie di violazioni, che ci aspettiamo, ai danni delle aree protette.
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