La fase ancora in corso di pandemia infettiva sta minando in modo formalmente ineccepibile le fondamenta democratiche della nostra società. Il costituzionalista Zagrebelsky – in un articolo apparso il 1° maggio 2020 su “il Fatto Quotidiano” – sostiene infatti che il profluvio di intrusivi DPCM emanati in questi mesi dal nostro governo, altro non è se non la componente attuativa di ciò che il DL n.6 del 23 febbraio prevede. Il Parlamento ha di fatto con quel decreto legge autorizzato il Governo, in qualità di “autorità competente”, ad assumere decisioni subentranti seguendo l’andamento della pandemia e a promanare provvedimenti con valore di leggi, senza il bisogno di consultare lo stesso Parlamento. Anche la Costituzione è salva: l’articolo 76 e 77 sanciscono la possibilità di delega della funzione legislativa dal Parlamento al Governo “per tempo limitato e per oggetti definiti” ed “in casi straordinari di necessità e urgenza”.
Tutto secondo legge quindi. Nulla di contestabile: la situazione è inoppugnabilmente straordinaria e di necessità ed urgenza.
La forma è dunque rispettata. Ma i contenuti?
Le vestigia di un Parlamento già da tempo svuotato dei suoi significati democratici, sede di beghe e bagarres dai fini per lo più elettorali, giacciono riottosamente inerti. Quel convulso ed incoordinato legiferare, isterico e privo di sistematicità, che ci ha fruttato il corpus normativo più nutrito al mondo è stato scavalcato e superato.
Senza cadenza regolare – ma a rapide riprese – nuovi editti sono stati enunciati, spesso in modo confuso e preferibilmente a tarda sera, direttamente da un contrito e un po’ stravolto Presidente del Consiglio.
Forte e ricorrente, in ogni occasione, l’apparente assunzione di responsabilità del premier rispetto alle decisioni e l’appello al senso di responsabilità dei cittadini. Ma in entrambi i casi responsabilità è stata una parola abusata.
Il Governo infatti pur di scapolare dalla esclusiva e scomoda responsabilità che su di lui ricade, ha delegato le responsabilità ai tecnici delle cosiddette “task force” tanto teoricamente inutili (sarebbero bastati pochi competenti ed illustri consulenti a supporto della già nutrita compagine di Ministri, vice Ministri, sottosegretari e funzionari ministeriali) quanto necessarie ad agire su indicazioni inderogabili dettate da elementi esterni al Governo: “lo dicono gli esperti”. Astuta applicazione di un salvifico principio: se va bene siamo stati bravi noi, se va male hanno sbagliato loro. E ciò vale anche per la presunta responsabilità affibbiata ai cittadini, i quali non hanno agito però per libera scelta responsabile, per rispondere cioè ad un’esigenza morale date poche regole stabilite, ma sono stati costretti per decreto ad una ferrea disciplina con tanto di salate sanzioni. È dunque questo un appello al senso di responsabilità o, come sostiene Cacciari (L’Espresso n.20, 10/05/20), una malcelata richiesta di obbedienza? Il cittadino non è infatti stato protagonista della scelta di aderire esercitando il proprio senso di responsabilità, ma è stato tenuto ad obbedire per non incorrere in sanzioni, addirittura penali. Sorvegliato dall’alto (droni ed elicotteri hanno solcato i cieli in lungo ed in largo), in città pattugliate da forze di polizia, carabinieri e persino dagli invisi vigili urbani (del resto ormai da qualche anno assurti al titolo di “polizia locale”), è stato costretto a dimostrare – carte alla mano – la necessità di spostarsi. Lo stesso DL 6/2020 aveva previsto finanche la possibilità per i prefetti di ricorrere all’uso dell’esercito perché le restrizioni fossero rispettate.
Ed è così che ci siamo ritrovati ad accettare limitazioni via via sempre più specifiche, più dettagliatamente invasive e sempre meno sensate. Non abbiamo fatto passeggiate neppure solitarie, non abbiamo potuto correre neanche da soli ed all’aria aperta, non abbiamo potuto allontanarci dai dintorni di casa, non abbiamo potuto stringerci la mano. Una progressiva minuziosa intrusione nelle nostre abitudini, nella nostra vita, nel nostro modo di entrare in relazione con gli altri. Uniche necessità riconosciute: lavorare, mangiare, fumare (!), curarsi e portar fuori il cane. Arrivato l’atteso momento in cui allentare le misure restrittive – il 4 maggio – anche gli affetti hanno trovato una loro disciplina per decreto. Chi sia importante vedere (vedere, non riabbracciare) lo decide il Governo: una follia che sembra mirata a capire sin dove siamo ormai disposti, per paura, ad acconsentire senza ribellarci.
Abbiamo sperimentato come ci si possa progressivamente adattare a tutto, anche a quello che inizialmente sembrava inaccettabile pur essendo molto meno di ciò che progressivamente ci è stato imposto.
La paura e la divisione sono alleati preziosi per chi governa, generano infatti la “naturale” reazione di voler essere protetti e condotti verso la sicurezza accettando potenzialmente qualunque costo, specie se divulgato come inevitabile e transitorio.
Ma di fronte ad un “nemico” (ed anche la retorica del nemico è strumentale alle deviazioni autoritarie!) che non possiamo vedere e di cui può essere raccontata qualunque cosa – vista l’impossibilità di verifica effettiva – possiamo avere certezza della transitorietà delle misure che ci sono state imposte? Possiamo essere sicuri che i nuovi comportamenti che siamo stati costretti ad adottare – e che si prevede dovremo adottare ancora per lungo tempo – non si radichino nel nostro stile di vita, stravolgendo le nostre naturali inclinazioni di esseri sociali?
“Più nulla sarà come prima”, viene ripetuto sin dall’inizio. Spaventa come un presagio tetro di cambiamento forzato e di ineluttabile futuro. Arrivati dove siamo, comincia a farsi strada il sospetto che “la fortuna abbia aiutato gli audaci”, coloro che a dispetto della scarsa competenza siedono al Governo del Paese. Si è presentata l’occasione, seppur a caro prezzo per tutti, di una involontaria – ma utile e del tutto nuova – strategia della tensione. La paura è stata alimentata in un crescendo incontrollato ed il virus è risultato un formidabile strumento di divisione e di controllo. Mai nella nostra storia si era ottenuto tanto: “terre et impera”, fin lì ci si era spinti; mai era giunto però l’ambìto “divide”. “Divide et impera”, dunque.
Il virus può. Può dividere, allontanare, frammentare il tessuto sociale nella forse non casuale confusione che si è creata tra “contatto” e “contagio”. Può spingere a lasciarsi tracciare, controllare, osservare, a cedere informazioni sempre più personali. Dove tutto diventa agile o smart si annidano l’assenza di confine tra produrre ed esistere, l’assenza di rapporti diretti tra individui animati dagli stessi interessi, l’assenza di una consapevole appartenenza a gruppi sociali. In questo modo siamo privati della forza del “sentirci parte” e dell’energia per esercitare pressioni su quella politica che ci preferisce divisi. E si torna così al recente refrain dell’uno vale uno e del tu vali tu in cui l’Ego sembra soddisfatto e il tessuto sociale si spacca, divenendo vittima. L’uomo solo è un uomo indifeso e, nelle circostanze attuali, facile preda nel mondo dei Big Data.
La App “Immuni” – che dovrebbe traghettare verso una nuova libertà di spostamento – non introduce forse il tema della possibilità di essere tracciati dallo Stato oltrechè dalle già migliaia di entità commerciali e politiche interessate ai nostri gusti e orientamenti? La tranquillizzante versione secondo cui non sarebbe obbligatoria, la rende oltretutto potenzialmente inefficace ai fini per cui è stata pensata. Dunque perché introdurre uno strumento già prevedibilmente inefficace? In che modo sarebbe di ausilio una App che chiede al cittadino di descrivere come si sente e che patologie ha? Cosa ha di oggettivo, cosa di preventivo? Quale competenza ha un comune cittadino nello scegliere i sintomi a cui dare importanza e quelli inutili da riferire? Dove finiranno e che uso verrà fatto di tutti questi dati così profondamente sensibili e personali?
Le uniche reali responsabilità che finora ci sono state inequivocabilmente addossate sono quelle del fallimento della politica, degli ultimi trent’anni di depotenziamento e definanziamento reiterati del Sistema Sanitario, dell’incapacità di creare e mantenere un tessuto economico sano e florido e degli errori decisionali che hanno caratterizzato la fase iniziale della diffusione della pandemia virale in Italia (come la partita Atalanta-Valencia disputata a San Siro il 19/02/2020 o lo scandalo del Pio Albergo Trivulzio).
Ma se il Presidente del Consiglio – con un coup de théâtre – diventa infine il tuo Presidente del Consiglio, rivolgendosi ai cittadini in conferenza stampa (26/04/2020) dando loro del tu; se proprio lui ti lascia intendere che ti ama, che ama il proprio Paese e che anche tu “se vuoi bene all’Italia, rispetti il distanziamento sociale” ed implicitamente accetti tutte le condizioni che vengono imposte, tu cosa fai? Rispetti l’odioso, eccessivo e prolungatissimo distanziamento e ti lasci tracciare: per il bene di tutti?
Categorie:Politica e Società
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