“Il suddito ideale del regno totalitario non è il nazista convinto né il comunista convinto, ma l’uomo per cui la distinzione tra fatti e finzione e la distinzione tra vero e falso, non esistono più” Hannah Arendt
Egomostri. Un refuso, un errore di battitura? Forse ECOmostri…. No, c’è purtroppo progressivamente sempre più spazio per un inatteso neologismo: EGOmostri.
Non misteriosi esseri mitologici, ma piuttosto personalità incombenti – quanto, a ben guardare, inconsistenti – che occupano e “deturpano” un luogo politico altrimenti privo di attori in grado di convincere. Leader dall’ego smisurato ed ipertrofico che dilagano senza freno nei nuovi incontrollati mezzi di diffusione del consenso. È ormai da tempo infatti che il consenso in politica non si fonda sulle idee, sulle linee d’azione di lungo periodo, sulle prospettive da costruire.
Dal Grillo del “Vaffa Day” di 10 anni fa al Salvini delle ruspe e dei crocefissi degli ultimi due anni, dal Renzi rottamatore del 2014 al Conte sia di destra che di sinistra degli ultimi due governi, passando per lo stesso Berlusconi – che, antesignano del metodo, ha dominato la scena politica per quasi vent’anni – quello che ha guadagnato il consenso non sono state le idee, ma i personaggi che gli egomostri sono stati in grado di costruire intorno a sé stessi e di vendere ai cittadini trasformati in spettatori e consumatori.
Siamo ormai ad un marketing politico che non ha interesse a piazzare il programma/prodotto, ma punta piuttosto a piazzare il personaggio, in una personalizzazione estremizzata della scena politica. Quello che viene ricercato è la connessione emotiva tra il leader ed il suo “pubblico”, che stabilisca un rapporto trascinante di ammirazione/identificazione/fiducia basato sulla performance del leader.
La campagna elettorale è permanente e non consente a nessuno di distrarsi dallo “spettacolo”, ancora fortunatamente per alcuni deprimente ed al contempo allarmante, fatto di parole suggestive da trasformare rapidamente in vuoti tormentoni lanciati in pasto ad una massa senza più strumenti, pronta a farli propri senza discuterli.
Ma lo spettacolo ha bisogno di allusioni, di simboli, di toni alti, di evocazioni, gesti, allarmi. Il pubblico come in ogni show che si rispetti deve poter ridere, tremare, intenerirsi, identificarsi, provare rabbia. L’egomostro, nella sua sconfinata autoreferenzialità e autocelebrazione, incarna tutto questo. Matteo Salvini ne è un esempio eclatante e purtroppo perfettamente riuscito. In perenne campagna elettorale – tanto da non avere tempo per la Politica! – nutre il suo pubblico con ogni parte della sua apparente esistenza: battuta sempre pronta, sornione sorriso di chi è certo di aver già vinto, ci appare sicuro e degno di fiducia nel confronto televisivo; è uno di noi mentre spalma la nutella sul pane a colazione; commuove mentre nel salotto di Vespa, prima di cominciare l’intervista, sente il bisogno di salutare la figlia Mirta ‘perché è tardi e lei non va a letto senza il bacio della buona notte del suo papà’; è l’uomo forte mentre sbarra ai migranti estenuati l’accesso ai porti, mentre svetta fiero sulla ruspa per sbaraccare i campi ROM, mentre si presenta al suo pubblico in un ritratto lascivo – sdraiato sul letto a torso nudo – con la sua compagna avvinghiata ed adorante; ci protegge quando assicura che il suo operato ci difenderà dal complotto per la “sostituzione etnica”; è persino un fervido credente quando bacia il Crocefisso durante i comizi e via – perché no? – sembra quasi investito di un potere teocratico quando affida al cuore immacolato di Maria il futuro e il destino non solo di un Paese (il nostro), ma addirittura di un continente.
Nell’era della cosiddetta post-verità1 ci si muove sullo scivoloso terreno in cui la verità è divenuta una questione secondaria. In cui non è più necessario argomentare per convincere, non è più necessario neanche fare lo sforzo di fornire prove – vere o false che siano – a sostegno di una dichiarazione, poiché verificare ciò che si ascolta o si legge sembra non interessare più nessuno. Anche il mondo giornalistico ha quasi perso interesse per la verifica dei fatti, fondamento imprescindibile della corretta informazione, tale è la rincorsa all’immediatezza della notizia, che ha ormai assunto un’importanza preponderante nel tentativo di non lasciarsi sfuggire l’attimo e la visibilità.
In una recente intervista Lee McIntyre2 sostiene che attualmente quel che conta è semplicemente avere la forza di imporre la propria versione, indipendentemente dai fatti. È sufficiente infatti ripetere concetti semplici e accattivanti, anche se infondati, per guadagnare consenso, poichè la post-verità prevede proprio questo: si crede a ciò che meglio si accorda con la nostra mentalità, i nostri valori o i nostri pregiudizi indipendentemente dalla sua fondatezza.
In questo nuovo sistema l’egomostro non ha alcuna difficoltà a proliferare, senza limiti né confini. L’appello è sempre al sentimento, alla convinzione personale, all’irrazionale3. Basta dunque affermare con sprezzante sicurezza, con arroganza o anche con spregiudicatezza, con violenza un qualunque contenuto – magari condito con qualche numero, non importa se vero o falso – riverberarlo all’infinito, attraverso tutti i canali a disposizione, e il gioco è fatto. In pochi si chiederanno se il contenuto è attendibile, tutti gli altri aderiranno se lo spettacolo è stato di loro gradimento, se corrisponde al loro gusto, dissentiranno in caso contrario.
Il cittadino/spettatore in Italia è stato costruito nel tempo. Inizialmente sono state le televisioni commerciali – canali Mediaset in testa4 – a banalizzare e sostituire alla divulgazione l’intrattenimento, sempre più voyeristico, e ad eliminare completamente dalla programmazione l’informazione (per reintrodurla molto più tardi come mezzo di propaganda politica). In seguito anche le reti pubbliche, derogando al loro dovere, hanno adeguato i palinsesti alla tendenza per competere alla rincorsa dello share e dell’inserzione pubblicitaria, riducendo la televisione – per la gran parte della programmazione – a mezzo di idiotizzazione di massa.
I new media hanno reso poi l’impresa ancor più facile agli egomostri. Grazie infatti alla continua e sempre più sottile profilazione dell’utenza, hanno esposto ognuno di noi ad un’offerta di contenuti strettamente selezionati rispetto alle preferenze individuali. Si sono creati così una sorta di ecosistemi informativi personalizzati – le cosiddette echo chambers5 (camere riverberanti) – nelle quali non si riceve altro che conferma delle proprie convinzioni, più o meno consolidate, in assenza di confronto e discussione. Il contesto informativo è stato quindi ridotto ad un insieme di “bolle non comunicanti” in cui ognuno, inserito nella propria bolla, viene confortato narcisisticamente della bontà delle proprie convinzioni. Diventa così poco importante individuare il confine tra informazione ed opinione, tra fatti, dati ed affermazioni non provate, tra vero e falso. Siamo quindi alla consacrazione, ed all’uso studiatamente manipolatorio, di un fenomeno ben noto alle scienze sociali: il cosiddetto bias di conferma, il meccanismo cognitivo che induce gli individui a rimanere entro i limiti delle proprie convinzioni acquisite, rifiutando di attribuire credibilità alle informazioni che le contraddicono. Ciò induce una netta tendenza alla polarizzazione delle posizioni, in cui non c’è spazio per possibilità intermedie: nero o bianco, sì o no, buono o cattivo. Si tratta dunque della paralisi della flessibilità del pensiero e del trionfo dell’adesione acritica, con la diretta conseguenza di una scarsa qualità delle decisioni. Se pertanto per l’egomostro diviene sufficiente assecondare lo strisciante e prevalente sentire della “gente” per suscitare consenso, per i cittadini ed elettori il voto si orienta nella direzione del miglior interprete-performer. Non sono più neanche tollerate né utili le correnti di pensiero interne ai movimenti o ai partiti. Non c’è infatti nulla da discutere, come abbiamo sentito dire da Giorgetti all’indomani del crollo del governo voluto da Salvini nella calura agostana di quest’anno: “Nella Lega non c’è dibattito, non c’è democrazia. Decide un capo”. I movimenti politici sono trasformati in gruppi di insignificanti accoliti che attendono di raccogliere le briciole del successo del leader indiscusso.
È così che negli ultimi trent’anni di scelte politiche si è riusciti nell’ardua impresa di smantellare ciò che le lotte e gli investimenti, in termini di energie e risorse, che hanno caratterizzato il periodo del dopoguerra avevano conquistato e costruito: decisioni di scarsa qualità, senza chiare finalità a lungo termine, ispirate dall’”estro del momento” e dalle contingenze.
Nella dimensione politica attuale dunque, come sostiene Piero Dominici6 in un articolo apparso sul Sole 24 Ore circa un anno fa e senza che ve ne sia una chiara percezione da parte dell’opinione pubblica, sono a rischio diritti e libertà fondamentali, oltreché la qualità della cittadinanza e della democrazia.
Imprescindibile e strategica in un tale contesto è l’attenzione alla formazione ed all’educazione dell’individuo – a partire dalla sua crescita scolastica – che abitui all’esercizio del dubbio, della critica, della curiosità analitica nonché alla diffidenza verso le semplificazioni ed alla ricerca del confronto tra le fonti e le idee. Perché individui consapevoli e cognitivamente strutturati con metodo, saranno in grado di scegliere una classe politica degna di assumersi la responsabilità della prospettiva e della coerenza: ciò che è in gioco, a ben vedere, è la tutela delle strutture democratiche.
Note
- Post-verità, neologismo derivato dalla parola inglese “post-truth”; aggettivo divenuto addirittura parola dell’anno nel 2016 per l’Oxford Dictionary, grazie al suo largo uso nel mondo anglosassone, alla sua capacità di rappresentare l’attuale spirito del tempo e di restare culturalmente significativo nel prossimo futuro. La parola si riferisce alla circostanza in cui i fatti oggettivi sono meno influenti degli appelli ad emozioni e credenze personali nel formare l’opinione pubblica. In italiano sarebbe forse più calzante la traduzione ultra-verità (dall’ultra latino cioè oltre, al di là della verità) ad indicare il superamento del concetto di verità inteso come realtà verificabile dei fatti.
- Lee McIntyre, ricercatore del Centro di Filosofia e storia della scienza dell’Università di Boston e docente di etica presso l’Harvard Extension School, autore tra gli altri del libro “Post-truth”, Mit Press.
- La percezione degli italiani rispetto ad alcuni temi protagonisti della recente scena politica, come l’immigrazione e la sicurezza, risulta profondamente distorta rispetto ai dati reali. Per esempio una rilevazione Ipsos pubblicata sul Corriere della Sera nel 2018 – in pieno picco di consenso per Salvini – metteva in evidenza come nonostante il calo degli sbarchi (circa l’80% in meno rispetto al 2017 e il 75% in meno rispetto al 2016) il 25% degli italiani ritenesse che fossero invece aumentati ed un altro 25% che fossero rimasti stabili, continuando quindi a percepire l’immigrazione come emergenza a dispetto dei numeri. Stesso discorso vale per il tema della sicurezza percepito come emergenza nonostante il calo dei reati.
- Per approfondire interessante lo studio apparso del tutto recentemente sull’argomento: R. Durante, P. Pinotti e A. Tesei, “The Political Legacy of Entertainment TV”, American Economic Review 2019, 109(7): 2497–2530 https://pubs.aeaweb.org/doi/pdfplus/10.1257/aer.20150958
- Echo chambers, “camere dell’eco”, sono sistemi virtuali chiusi in cui informazioni, idee o opinioni vengono amplificate e rafforzate dalla ripetizione all’interno del sistema stesso, dove non viene dato spazio ad idee diverse da quelle di chi li frequenta abitualmente. Sono dunque luoghi di mistificazione e di parzialità dell’informazione, diestremizzazionee polarizzazione delle idee, di isolamento e discriminazione. Inoltre producono una sostanziale disabitudine al confronto con idee ed opinioni diverse dalle proprie, contribuendo a generare l’inasprimento dei toni ed il cosiddetto fenomeno dell’hate speech.
- “Fake news and post-truth? The “real” issue is how democracy is faring lately”, Nòva Il Sole 24 Ore. Piero Dominici insegna Comunicazione Pubblica e Sociologia della Devianza presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia.
Sergio Lombardo, “Senza titolo”, 1963, smalto su carta applicata su tela, 70 x 100 cm
Categorie:Politica e Società
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