La nazione è uno spazio politico creato artificialmente e rafforzato ideologicamente dal Potere. Utile a ridurre i conflitti istintivi tra gli individui, la nazione è dunque un’invenzione politica che cavalca l’ancestrale necessità dell’essere umano di appartenere ad un gruppo. Non esistono infatti elementi di comunanza culturale, linguistica o di tradizioni che seguano confini nazionali e che siano in grado di reggere all’indagine storica. Tutti abbiamo memoria della celebre frase che viene attribuita a Massimo d’Azeglio: “abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”. Essa testimonia che i riferimenti identitari nazionali vengono creati intenzionalmente, per favorire l’adesione emotiva alla “patria”.
In diverse epoche storiche, come anche in tempi recenti, il culturalismo identitario nazionalista ha preso – e sta nuovamente prendendo – le caratteristiche di un’estensione dell’identità personale dell’individuo, di una completa identificazione dell’individuo con la nazione d’origine cioè, che travalica il più opportuno e realistico concetto di “appartenenza”, inteso come condivisione di interessi ed obiettivi comuni e come partecipazione alla loro realizzazione.
Il crollo delle ideologie ci ha esposto ad un problema di non facile soluzione: l’assenza di una maglia di riferimenti nei quali riconoscersi, ai quali ispirarsi ed in nome dei quali condurre battaglie. Il rischioso vuoto ideologico creatosi ha concesso terreno al mito identitario ed al rilancio dei movimenti identitari, che si fondano sull’assunto – pericolosamente ideologico e concettualmente falso – dell’esistenza di una sostanza biologica, storica e culturale unificante ed immutabile messa in pericolo da ciò che è “altro, diverso”. Da un nemico, cioè, che viene definito tale per il solo fatto di essere esterno ai presunti confini identitari.
Nasce quindi in quest’ottica distorta l’esigenza di affermare, proteggere, difendere l’identità (nazionale/individuale) da tutto ciò che potrebbe costituirne una fonte di alterazione, contaminazione, corruzione, violazione che deve essere – nella migliore delle ipotesi – respinto, allontanato. Ma l’ideologia identitaria – come ha già dimostrato la storia – si presta a versioni radicalizzate, fanatiche ed autoritarie, che giungono all’eccidio ed allo sterminio. È accaduto meno di un secolo fa, proprio in Europa, ed il ricordo rischia di essere già sbiadito nella memoria collettiva.
Le identità culturali sono da sempre inesorabilmente in evoluzione, sia nelle proprie strutture socio-economiche, sia nei propri costumi e nelle proprie tradizioni. Se così non fosse, non potremmo riconoscere differenze culturali tra i giorni nostri e la preistoria, come accade per alcune popolazioni che vivono in condizioni di estremo isolamento – con assenza di scambi e contatti con altre genti – e di conseguente arretratezza culturale e tecnica per impossibilità di progresso.
La fisiologica evoluzione della cultura dei popoli ha però, fino a pochi anni fa, seguito un ritmo lento al punto tale da essere solo relativamente percepibile in modo consapevole, tanto da essere spesso solo fonte di scontri generazionali – con i padri che non riconoscono i propri valori nei figli – e qualche volta di scontri politici. Negli ultimi vent’anni, però, un’inattesa accelerazione del cambiamento culturale a livello globale – indotta dalla profonda rivoluzione scientifico-tecnologica in associazione con la crisi delle ideologie, la crisi economica, la destrutturazione della società** e dei rapporti familiari, la disintermediazione dell’informazione e della comunicazione, l’assenza di reale dibattito – ha generato una sensazione diffusa ed angosciante di fragilità, di impotenza e di perdita di riferimenti. Queste si sono rivelate condizioni particolarmente propizie alla proposta di un rifugio identitario nazionalista come antidoto all’incertezza, all’insicurezza ed alla paura.
In Italia si è assistito negli anni ’80 al fiorire di ideologie identitarie, ristrette inizialmente al regionalismo secessionista (interpretato dalla Lega Lombarda, poi Lega Nord, e dal suo rozzo “celodurismo”), che drenavano consensi in un gruppo decisamente limitato della popolazione. Oggi, in nome della ambiziosa “ὕβρις”*** di un leader politicamente inerte – a dispetto di come vorrebbe apparire – ma onnipresente nei media oltreché sui social e con aspirazioni da “uomo solo al comando”, esse sono state estese al nazionalismo sovranista alla ricerca di un più diffuso consenso elettorale. Come nel nostro paese, si sono fatte strada anche in altre nazioni, anacronistiche politiche isolazioniste e protezioniste, in un mondo ormai globalizzato ed interdipendente sia dal punto di vista economico e finanziario, sia dal punto di vista culturale, comunicativo e sociale.
Si assiste quindi oggi, inaspettatamente, al ritorno della fascinazione per i simboli ed i riti nazionali – la bandiera, l’inno o le forze armate per esempio, nell’immaginario collettivo non più così strettamente legati all’uso antidemocratico ed irrazionale che ne ha fatto il ventennio fascista – come veicolo di adesione ed identificazione emotiva con la nazione. Un’entità astratta questa, che ha bisogno di essere personificata, sacralizzata – anche nei suoi vizi – ed infine simbolizzata per essere incondizionatamente amata, in nome di un’adesione legata all’emotività, alla cosiddetta “pancia” che sostituisca il ragionamento e la razionalità delle scelte e degli orientamenti.
La disintermediazione digitale dell’informazione e della comunicazione ha inoltre alimentato la sensazione di sfiducia e di risentimento verso la classe politica (dimostratasi non in grado di soddisfare le aspettative dei cittadini, che sempre “connessi” osservano il benessere degli altri con invidia vivendolo come ingiustizia) come anche l’illusione di poter avere il proprio destino nelle mani senza bisogno di intermediari. È infine riuscita a veicolare contenuti impliciti altrimenti inaccettabili, facilitando il raggiungimento di un largo consenso intorno a logiche individualiste e di esaltazione dei simboli nazionali.
Sostenere ideologie identitarie e nazionaliste significa negare l’evidenza che la maggior parte delle questioni di capitale importanza del nostro tempo – come l’ecologia, il terrorismo, le migrazioni, i modelli di sviluppo socio-economico – sono questioni globali. Esse non possono essere trattate e risolte a livello nazionale, ma necessitano di essere affrontate attraverso regole condivise a cui nessuno Stato dovrebbe poter rifiutare di aderire, anteponendo il proprio interesse a quello comune. Anche la tutela dei diritti civili, dei diritti dei lavoratori, della salute (si pensi all’esplosione di epidemie nei paesi più poveri), il mantenimento di condizioni di pace diffusa necessitano di una rete globale di responsabilità, anche qui condivise ed ineludibili, di cui gli Stati devono farsi garanti mettendo da parte logiche legate al puro profitto, seppur nella tutela degli interessi della propria nazione intesa come luogo politico.
Mai come oggi può considerarsi evidentemente valido il cosiddetto “effetto farfalla”****, anche nelle decisioni politiche, talché non possiamo considerarci che cittadini del mondo ed ambire a politiche, se non unitarie e globali, almeno integrate ed ispirate al bene comune sovranazionale.
L’altro siamo noi. È dunque necessario battersi per una convivenza in cui la pluralità faccia prevalere la categoria di cittadino su quella di identità di sangue o di cultura; perché il cambiamento venga accettato come funzionale e rispondente ad una realtà ineluttabilmente nuova; perché l’identità non venga concepita come reazione alla falsa minaccia di una pericolosa “colonizzazione culturale” ma come cosa viva, capace di adattarsi e di modificarsi; perché non vengano diffusi ridicoli e propagandistici allarmismi di “sostituzione etnica”*****.
È necessario sostituire all’irrazionale identificazione con la propria nazione l’amore per la sua storia e la sua cultura, di cui va conservato ciò che ancora risulta utile e funzionale nella prospettiva, però, di un futuro inevitabilmente diverso. Nella consapevolezza che ciò che ci divide dall’altro è molto meno di quello che ci unisce.
NOTE
**Alcuni parlano oggi di “società molecolare” o di “società atomizzata”, per indicare come la collettività sia ormai disgregata e ridotta ad un insieme di individui singoli conviventi che non condividono alcun concreto interesse o obiettivo comune. L’”atomizzazione” della società è un pericoloso terreno in cui il radicale individualismo può consentire l’attecchimento di politiche fortemente restrittive delle libertà individuali; per verso opposto, essa è una condizione scientemente ricercata e perpetuata dai regimi totalitaristici per ottenere un completo controllo della società (si veda Hannah Arendt e la sua analisi del totalitarismo stalinista in “Le origini del totalitarismo”, 1951).
***Hybris, “tracotanza”; nella cultura dell’antica Grecia l’orgoglio dell’uomo, derivato dalla propria potenza o fortuna, che determina un atteggiamento di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze e capacità e che pertanto viene punito dagli dèi.
****Effetto farfalla è un termine introdotto dal matematico e meteorologo Edward Lorenz in un articolo del 1972 dal titolo “Predictability: does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?”. Si allude qui dunque alla possibilità che, all’interno di un sistema, variazioni, anche molto piccole, delle condizioni, possano produrre effetti grandi e crescenti anche a notevole distanza.
*****Attualmente gli stranieri rappresentano in Italia nel loro complesso – si parla di 196 diverse cittadinanze – l’8,7% della popolazione residente (dati Istat 2019). Come di fronte a numeri di questo tipo si può parlare di “rischio di sostituzione etnica”? L’unica spiegazione all’uso di simili espressioni è quella di una strategia politica volta a giustificare l’odio razziale e la discriminazione delle minoranze, etniche e religiose. Se teorie complottistiche infondate come questa vengono sdoganate dalla politica, il pericolo diventa massimo. La frammentazione della società e il “tutti nemici di tutti” spianano la strada a politiche restrittive delle libertà e dei diritti.
Categorie:Politica e Società
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