Possibile che anche i cosiddetti DEM si interroghino ancora sull’opportunità dello ius soli? I diritti diffusi non sono forse un tema abbastanza di sinistra? Si è persino giunti ad applicare un correttivo sul nome di un diritto: meglio chiamarlo ius culturae. Mettiamoci sù un quinquennio di scuole per poter riconoscere a pieno titolo come appartenente ad una nazione chi ci è nato. Forse in questo modo riusciamo a farlo digerire ai cinque stelle ed alle destre.
Anzi meglio ancora: non è una priorità, abbiamo altro a cui pensare. Così si è unanimemente espresso l’attuale esecutivo, evitando di affrontare una questione per nulla secondaria.
In coda ad una campagna di rifiuto e di criminalizzazione di un fenomeno migratorio di portata storica, infatti, non conviene mettere in atto politiche di sinistra. Rimaniamo coperti. Cerchiamo di attrarre le simpatie dell’informe ed indeciso “centro”.
Riconoscere come titolare di diritti un individuo all’interno del paese in cui nasce, proprio dal momento in cui viene al mondo – indipendentemente da chi ne siano i genitori – è un principio di civiltà elementare oltre che un’importante via per l’integrazione.
Non ci sono tante domande da porre e da porsi: sei nato in Italia? Sei italiano. Solo così si può immaginare una società che integri culture e tradizioni con diritti e doveri. Perché chi ha diritti, oltre a veder riconosciuta in modo incontrovertibile la propria dignità di essere umano, ha anche doveri verso il paese di cui fa parte. Partecipa alla società, all’economia ed alle regole di quel paese.
Negli ultimi tempi mi è capitato di ascoltare discorsi a contenuto xenofobo e razzista davvero sconcertanti, sostenuti da una grettezza di pensiero venuta allo scoperto solo grazie alla legittimazione resa possibile dal recente governo di componente leghista.
Qualche giorno fa in un servizio televisivo (“Piazza pulita”, 03/10/19) ho sentito dire, con aria sprezzante, da una giovane madre di Sesto San Giovanni che i bambini egiziani “puzzano, sono sporchi, portano le malattie ed hanno i pidocchi”. Ho sentito anche sostenere ancora una volta che gli stranieri sono “agevolati rispetto agli italiani” quando è noto a tutti che non esistono criteri che concernano la ‘stranierità’ nella concessione di punteggi, di qualunque graduatoria pubblica si parli. Esistono invece punteggi che riguardano il reddito, la composizione del nucleo familiare, il livello di disagio sociale, lo stato di salute. È per questo che spesso gli stranieri accedono ad agevolazioni e servizi: perché vivono una condizione di maggiore disagio e povertà. Non c’è ragione di condurre battaglie sulla ‘priorità di razza’; ma sulla insufficienza di servizi rispetto alle necessità bisognerebbe invece avviare una vera guerra.
I bambini che nascono e crescono sul nostro territorio sono esattamente uguali ai nostri figli e spesso non riescono neanche a riconoscersi nella cultura della loro famiglia di origine. Lo sappiamo dai tanti fatti di cronaca, che ci raccontano come le seconde generazioni di migranti entrino in conflitto con la cultura da cui provengono, sentendosi più vicini alla cultura in cui sono immersi e vivono quotidianamente.
La concessione della cittadinanza ai migranti è di fatto un falso problema, armato da chi vuol farne – nella vuotezza delle proprie idee politiche – un elemento di propaganda. La paura della differenza tra culture, della possibile imposizione di costumi diversi dai nostri da parte di chi entra nel nostro paese nasce dall’ignoranza. Storicamente si è sempre assistito al mescolamento delle culture: quelle attuali sono frutto di contaminazioni avvenute nei secoli. È una bufala anche quella della razza: geneticamente tutte le popolazioni appartengono ad un’unica specie, la specie umana, le razze sono un’invenzione colonialistica per giustificare la sopraffazione nei confronti di popoli più deboli.
Nel nostro paese così come negli altri paesi europei, molti sono ancora i migranti loro malgrado irregolari costretti a lavorare in nero per sostentarsi. Sono numerosissimi anche gli europei de facto, privi di cittadinanza e di diritti ma a tutti gli effetti europei per nascita, crescita e residenza.
La legge italiana che disciplina la concessione della cittadinanza agli stranieri (L.91/1992) è la più obsoleta tra le leggi europee ed ancora basata sullo jus sanguinis, del tutto superato dai fatti.
Un individuo che si senta rispettato dal paese in cui arriva e vive, rispetterà quel paese sentendosene parte. È ora di cambiare.
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