POLITICA: PERCHÉ NO?

Grande soddisfazione dei commentatori ieri nell’osservare che il “Friday for future” di Roma, arrivato a conclusione di una intera settimana di manifestazioni in tutto il mondo, fosse privo di bandiere politiche. Come se liberarsi della politica fosse l’obiettivo raggiunto.

Chissà perché la politica è ormai diventata nell’immaginario collettivo qualcosa di pericoloso, da evitare e soprattutto da non ricercare. Distoglie dai veri obiettivi (che quali sarebbero poi?), “strumentalizza” ogni questione di interesse comune, “cavalca” a proprio vantaggio il dibattito.

Molti ne fanno addirittura un vanto: “ah no, io non mi interesso di politica. E poi tanto sono tutti uguali”!

La politica al contrario ha una storia nobile. La stessa parola “politica” ha una radice antica. Deriva dall’aggettivo greco πολιτικὸς: che concerne la sfera pubblica, del cittadino. Condivide la sua radice con parole altrettanto antiche come πὸλις (città), πολὶτης (cittadino), πολὺς (molto): la città – e per estensione lo Stato – è il luogo dei molti (οἳ πολλοὶ), il luogo della comunità. La politica è dunque la tecnica, o anche l’arte se vogliamo, dell’organizzare e amministrare lo stato e la vita pubblica.

E allora perché non dovremmo interessarci di politica? Perché soprattutto dovremmo tenere la politica fuori dalle scuole, dai luoghi di lavoro, dalle strade, dalle proteste? Perché l’interesse per la politica fa così paura al potere?

Forse perché occuparsi di politica aggrega, struttura, fa riflettere, crea opinioni, costruisce interlocutori con cui fare i conti. Può generare spine nel fianco in grado di opporsi. E questo in specie se la politica si fa in luoghi che già di per sé aggregano intorno ad interessi comuni.

E così? E così parte il metodo della “fuffa”, della pseudo-partecipazione dei cittadini alla politica. Artatamente costruita da chi ne ha interesse. Si moltiplicano allora gli strumenti ‘alla portata di tutti’ e per questo considerati la massima espressione della democrazia. Pensiamo alla tristemente nota (e peraltro totalmente fuori controllo) piattaforma Rousseau o alla nuova luminosa idea del PD, che sta per lanciare – con ridicolo entusiasmo alla rincorsa degli alleati-avversari, inventori di “uno vale uno” – la nuova App con lo slogan “Tu vali tu”.

… “TU VALI TU”: una bella presa per il culo! Cosa vale il singolo non organizzato? Un bel niente, esprime un’opinione personale, priva di forza e di “peso” politico.

Ma una App o una piattaforma online, invece, quelle sì che hanno un valore per chi le gestisce. Intanto rappresentano la possibilità di dare ai cittadini l’illusione di partecipare alle decisioni; poi forniscono l’alibi per attuare politiche presuntamente scelte o approvate dai ‘militanti’; infine consentono di tracciare, schedare, seguire gli umori e, non meno importante, dividono.

Senza confronto, senza riflessione, senza discussione, senza dibattito – che generano idee e le migliorano – in che modo si partecipa e a che cosa? Le decisioni vengono prese in altri luoghi – ben lontani dalle piattaforme – e sono asservite a logiche che non considerano affatto il bene della cosa comune.

Gli studenti, dunque, DEVONO interessarsi di politica attivamente, i lavoratori DEVONO interessarsi di politica attivamente, i cittadini tutti devono partecipare e non virtualmente – come usa da qualche tempo – da dietro uno smartphone o un computer. La politica ci riguarda, decide i nostri destini non possiamo permetterci di essere distratti. Ridotti ad essere oggetto della politica, è ora di tornare ad esserne i protagonisti.

Una spina nel fianco, sempre, ma organizzata, strutturata, oppure finirà proprio così: “tu vali tu”.

 

Fotografia: 2019©Valerio Preci/QuarkDesign



Categorie:Politica e Società

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